L'aspirina potrebbe mitigare il trattamento ospedaliero di pazienti ricoverati per COVID-19.

Uno dei numerosi effetti dell'infezione di SARS-CoV-2 è la formazione di trombi a livello polmonare. Per scongiurarne la formazione si sono impiegati vari farmaci come il Warfarin e l'eparina, ma soprattutto quest'ultima è problematica perché l'impiego può comportare rischi maggiori e quindi è complicato di volta in volta stabilire da quale parte si sbilanci il rapporto rischi/benefici.

Un altro anticoagulante d'uso comune che viene in mente è certamente l'Aspirina. Uno studio statunitense condotto su 420 pazienti ricoverati si focalizza su quest'ultimo farmaco. Dei pazienti facenti parte del campione:

  • 314 non hanno ricevuto aspirina;
  • 98 hanno ricevuto aspirina anche se in maniera non del tutto uniforme, cioè alcuni già prima ed altri solo dopo il ricovero.

Dai dati non emerge una correlazione diretta con la mortalità dei pazienti ricoverati né in senso positivo che negativo, ma si nota una significativa riduzione dell'impiego delle procedure di ventilazione meccanica.

Questo fenomeno potrebbe essere dovuto ad un ruolo protettivo dell'acido acetilsalicilico nei confronti delle vie aeree, possibilmente mediante riduzione del fenomeno di aggregazione piastrinica polmonare con conseguente riduzione della formazione di microtrombi. Ne consegue che l'aspirina potrebbe essere d'aiuto nell'alleviare le condizioni dei pazienti gravi ricoverati per COVID-19, ma trattandosi di uno studio effettuato su un campione relativamente piccolo, sarebbe certamente il caso di approfondire ulteriormente prima di pervenire a conclusioni definitive.


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