TODO Prudenza

Mi sono sempre considerato una persona prudente. Ultimamente, però, ho iniziato a mettere in discussione questo "fatto" per me scontato ed ho notato che la mia prudenza è il frutto di un continuo processo di contrattazione mentale che certe giornate è capace di depletare una buona parte delle mie energie.

Di base, infatti, sono animato da una grande impulsività che si presenta come con spike piccoli ma continui di decisioni che vorrei attuare: scrivere, leggere, cucinare, incontrare, chiamare, studiare, convogliare le informazioni su tutte queste attività su un blog e poi risistemare il blog per migliorare la tassonomia e poi mettere in discussione la tassonomia, comprare una lavagna nuova ecc. Questo è quello a cui penso di continuo, come se volessi tabulare ogni esperienza che provo, ogni passo che faccio, ma senza avere effettivamente il tempo e le risorse cognitive per riuscirci.

Quindi, fin da piccolo ho imparato a convogliare questi impulsi come in un dissipatore mentale che li diffrange da tutte le parti in granuletti che devo gestire ed analizzare singolarmente. E tutte le volte mi chiedo: «ha senso per l'obiettivo generale che sto cercando di realizzare oggi? Questo mese? Quest'anno?». Se la risposta a queste domande è no, lascio che l'impulso si disperda e passo al prossimo. La mia giornata è tutta così.

La tiktokizzazione di Instagram divagazioni@posts

In questi giorni, alcuni utenti di Instagram stanno sperimentando in anteprima alcune modifiche che vanno fin troppo chiaramente in una direzione ben precisa: la tiktokizzazione di Instagram.

Osservo con amarezza, ma c'era da aspettarselo e mi consola il fatto di non aver speso troppe energie in questa direzione. Si tratta di un argomento a cui ho pensato più di quanto non volessi e per un motivo preciso: ci sono già passato, in un certo senso. Sono felice di aver preferito lavorare al codice del blog, alla newsletter su Substack, ai canali Telegramm, anche se tutto questo lavoro ha portato a ben poche interazioni e una crescita infinitesimale della base.

La verità è che le app di Zuckerberg sono inaffidabili, perché non c'è la minima intenzione di mantenere una visione: artisti, musicisti, lettori, videomaker, persone. L'unica idea è monetizzare sulle interazioni. E sia chiaro: non sto dicendo che non debbano cercare di rendere il servizio sostenibile dal punto di vista economico, no, ma almeno trovare un compromesso tra la natura del progetto ed i metodi di monetizzazione. Qui ogni utente è visto solo come una miniera di surplus comportamentale, spremuto fino all'ultimo a costo di manipolarlo emotivamente giorno dopo giorno: il suo lavoro sulla piattaforma non è tenuto in nessuna considerazione, lo shadowban arriva senza una spiegazione. Così fotografi ed artisti che prima pubblicavano le proprie immagini su Instagram finiscono col ricevere il 500% in meno delle interazioni all'improvviso, senza avere nessuno con cui dialogare, senza nemmeno che qualcuno ai vertici prenda atto del cambiamento, come invece è capitato in passato con YouTube. Semplicemente, certe categorie di utenti possono essere sacrificate all'improvviso perché qualcuno nel team di marketing ha deciso di cambiare i contenuti di punta: da testo a immagini quadrate, da immagini quadrate a immagini verticali, quindi storie (da Snapchat), quindi reels (da TikTok) all'infinito. Il lavoro svolto dai cosiddetti content creators è ritenuto irrilevante. La stessa parola "content creators", creatori di contenuti, lo dice chiaramente: quelli che hanno passato le proprie giornate scrivendo poesie, per Facebook, anzi Meta, hanno prodotto contenuti, né più né meno dei podcaster o di chi passa il tempo a fare esperimenti sociali. Questa orizzontalità può sembrare democratica, ma in realtà non lo è affatto, anzi, è fortemente gerarchizzante, perché l'unica cosa che conta sono le interazioni ed a decidere quali contenuti debbano fare più interazioni sono i pochi individui del team di sviluppo, sempre pronti a cambiare la strategia di mercato precedente con la prossima.

TODO Conversazioni semi-oniriche con la psicologa

Quello di questa notte è stato il più paziente tentativo di dormire dell'ultimo periodo (e assicuro che di pazienza ultimamente ne ho avuta parecchio). Subito dopo cena, distrutto dalla carenza di sonno protratta, sono andato a dormire. Sono le cinque: mi sto alzando adesso. Probabilmente avrò dormito quattro ore al massimo durante tutto questo intervallo, ma comunque ci ho provato. Ora i pensieri corrono da troppe ore irrefrenabilmente ed immagino dialoghi di ogni genere, quindi non posso più continuare a prendermi in giro rimanendo sdraiato. C'è caldo, ho mal di testa, c'è il rischio che la nausea ritorni. Non posso nemmeno fare colazione, perché c'è il rischio che il mio flusso di pensieri svanisca. Vorrei che di tutte questi ragionamenti restasse qualcosa, fosse anche un 10%. Ho riflettuto su molti temi:

Materiali in degradazione

Il nostro rapporto con la Tecnica e come l'industrializzazione ci abbia alienato rispetto alla realtà materiale degli oggetti; questo mi è venuto in mente perché io sento la responsabilità di non far deteriorare oggetti e strutture che non è colpa mia se si trovano all'aperto o abbandonati in uno stato subottimale. Questo mi ha fatto riflettere spesso sulla tendenza al consumo ed all'implicazione distruttiva che la proprietà privata ha per noi, socialmente, quindi alla assoluta anomalia storica di questo modo di ragionare. Ho immaginato che la psicologa potesse dirmi che no, non sta a me occuparmi di preservare i materiali lasciati da altri, che in questo senso di responsabilità così esteso rischio di annullarmi. Non le ho dato torto, ma comunque il pensiero che le cose si deteriorino non mi lascia tranquillo.

Dolore

Sicuramente la psicologa cerca di invitarmi a costruire barriere per strutturare il mio ego. Fa bene, al posto suo farei la stessa cosa (forse). Sono forse gli altri più meritevoli del sottoscritto? Questo mi chiede. Credo che sia fuori strada, io non credo proprio che gli altri siano più meritevoli. Mi è proprio distante questa concezione etica del merito e del dolore. Rifuggo anche la visione di me stesso come vittima, solo perché ho un ego in briciole. Cos'è la mia sofferenza dinnanzi a quella di persone e animali in condizioni di dolore fisico e di compassione negata? Ci sarebbero miriadi di esempi che si possono fare, esempi attuali soprattutto. Per me è esempio paradigmatico quello del maiale nel campo di concentramento che chiamiamo allevamento intensivo. Chiuso in pochi metri quadrati, sofferente, la sua dimensione psichica è completamente rinnegata, il suo dolore ignorato, costretto al cannibalismo dal cieco dolore. Non è forse mia responsabilità cercare di provare almeno un po' di empatia? Come posso non partecipare almeno in maniera così astratta e pure un po' ipocrita? Dovrei alzarmi, prendere la macchina, cercare di liberarne qualcuno, ma chi ha le forze per simili gesti? La mente mi va subito a come reagirebbe ad un simile sfrego lo stato di polizia che è stato eretto attorno ai privilegi dei padroni, ops, degli investitori. Il loro guadagno è difeso dallo stato-nazione in primo luogo, poi persino dalla NATO. Essere anarchici oggi è come essere martiri. O, forse, mi pare che sia così perché non ho il coraggio di affrontare certe conseguenze. Ma a che viene il coraggio senza risultati? Allora tanto vale costruire un qualcosa che sia socialmente significativo, un movimento marxista-leninista fa ben più paura allo stato-nazione. Dovendo impiegare il proprio tempo nella lotta, vale la pena preoccuparsi di quale lotta sia la più proficua, anche se non c'è lotta concreta, di piccola scala, che possa essere affrontata in una società "globalizzata" come quella di oggi, in cui i sistemi oppressivi si sono stratificati e gerarchizzati a tal punto che cercare di sovvertirne uno singolarmente ha perso ogni significato. Marx l'aveva capito sicuramente, per questo prefigurava un socialismo europeo, anzi, internazionale. Quell'occasione è stata mancata e i comunismi nazionali a poco valgono, se non a strappare qualche battaglia sindacale per i lavoratori del posto. Ma la violenza istituzionalizzata contro le specie animali? O le persone non cittadine? Figurarsi.

Bipolarismo e ADHD

I miei sospetti su una mia condizione di bipolarismo non negano quelli di una condizione di ADHD, non necessariamente. L'indizio più forte di bipolarismo è dato dall'oscillare delle fasi depressive e maniacali. Ciò detto, non posso negare il sospetto che questo rapporto alla psicopatologia sia essenzializzante e poco aderente al vero. Posso far finta che le mie condizioni sociali non siano tali da aver prodotto, confliggendo con la mia sensibilità personale, degli atteggiamenti disfunzionali nei confronti dell'auto-preservazione? Quando è venuto meno l'impulso, il desiderio di costruire una strada nella direzione borghese, cioè l'anno scorso, i sintomi del bipolarismo sono spariti. Non quelli che ora riconosco come ADHD, quelli no. Ma le fasi maniacali si sono fatte più tenui, le fasi depressive più rade. A spingere alla maniacalità c'è l'intero apparato borghese, impossibile negare una verità tanto evidente. Sintomi dell'ADHD, cosa intendo?

  • Percezione del tempo alterata
  • Tendenza all'hyperfocus su argomenti che m'è capitato di trovare un minimo interessanti con la conseguenza di rinunciare persino a dormire pur di dedicarmi ad essi e poi lasciarli nel momento esatto in cui le cose si fanno un minimo noiose
  • La maniera abbacinante con cui ragiono. Sto facendo fatica a mettere in ordine un quantitativo spropositato di pensieri che ho avuto a letto perché questi discorsi non sono stati condotti sequenzialmente, come cerco qui di riprodurli, ma in parallelo. Capite che garbuglio deve essere, molto difficile riprendere ogni filo e distenderlo in caratteri UTF-8.

Noia

A proposito di noia, ho pensato anche a questa: al fatto che vorrei sentire una connessione con qualcuno di stimolante abbastanza da alimentare un desiderio di profondità nei confronti di qualche argomento interessante. L'isolamento che percepisco è anche un isolamento di questo genere: se non fossi per la precarietà delle condizioni materiali che mi spinge in continuazione a cercare di simulare il mantenimento di una posizione in questa merdosissima società, probabilmente imploderei dalla noia. Cos'è tutta questa autoreferenzialità che tutti hanno? Perché questa aderenza all'ego anche nel desiderio? Non possiamo desiderare di dissolversi nelle cose altre?

L'ALtro

La psicologa mi chiedeva se io fossi o meno spaventato all'idea di essere come mio padre. Le ho spiegato che lo prendo come modello negativo, perché a mio avviso ha comportamenti infantili e di danno nei confronti della sua microcomunità (famiglia e non solo). D'altra parte penso che componenti del suo essere siano inestricabilmente miei: il suo genoma si replica tra le mie cellule, la mia insonnia è un'eco della sua, che a sua volta credo sia un'eco di quella di sua madre e così via. Le neurodivergenze citate sospetto che siano anche almeno parzialmente condivise. Le spiegavo che accetto il fatto di condividere con lui pezzi di corpo e di psiche (scissione, questa, che non ha alcun senso: quando lo capiremo sarà sempre troppo tardi e siano condannati dalla storia della filosofia gli gnostici, che tanto hanno calcato su questa finta scissione). Dicevo, sento scorrere nel mio corpo tante sue tendenze: alla gamification paranoide degli obiettivi, per esempio, forse anche la percezione del tempo tanto disallineata rispetto a quella dei miei pari. Ciononostante, non mi identifico per niente in lui, penso che siamo mossi da sentimenti e ideologie profondamente diverse. Il fatto che non abbiamo avuto chissà che comunicazione nel passato ha anche agevolato questa distanza. Spiegavo che provo fastidio, quello sì, fastidio ad avere appiccicate sulla pelle tutte queste caratteristiche, ma non è tutta colpa sua: provo fastidio ad avere addosso il Patrarcato, il Capitale, lo specismo, tutte conseguenze di una metafisica gerarchizzante e cabalistica come tutte quelle che discendono dall'ebraismo antico. Se c'è qualcuno che profondamente disprezzo per avere elaborato una simile Weltanschaung, sono proprio loro, anche se non so che tipo di giustificazioni potessero avere per militarizzare anche Dio. Ciò che è certo, è che il fastidio non è sufficiente a farmi sentire cosa altra. Per approfondire l'impatto che questa visione del mondo gerarchizzante ha sul nostro mondo ogni giorno, rimando a Demonologia Rivoluzionaria, che tanto bene spiega in certi capitoli questo concetto. Forse anche Magia e Tecnica, anche se non così direttamente. Libro che devo ancora finire, peraltro, e non posso finirlo proprio perché devo evitare in ogni modo di distrarmi dall'obiettivo che è dato dall'esame. Anche queste poche righe sono un rischio che sto correndo, perché è chiaro che riflettere in forma logica mi spinge a desiderare la scrittura ancora e ancora, e da lì c'è il rischio che io desideri leggere ancora e ancora e quindi che io trascorra settimane lontano dall'obiettivo. Il problema, come vedete, è che non sono libero nemmeno di impugnare una penna oo sollevare un libro senza che questo rischi di compromettere la mia partecipazione alla società ed ai suoi riti.

Perché non allontanarsi, allora?

Perché se lo facessi mi isolerei ulteriormente e non potrei nemmeno avere quella minima influenza che miro a conquistare. Mi rifiuto di lasciare la medicina in mano a gente che fa discorsi di un'ignoranza così sorprendente come una persona del mio paese con cui ho parlato su Facebook qualche ora fa. Questa è laureata in medicina all'Università di Kessina e va dicendo che il covid è un'influenza eccetera eccetera. Allontanarsi significherebbe lasciare tante persone in balia di questi finti saggi. Aspiro ad un minimo di saggezza, socraticamente parlando, che possa almeno indurre gli altri a dubitare dell'autorità. questo sì, questo è mio desiderio. A me cosa viene? Il piacere d'aver messo i bastoni fra le ruote, la consapevolezza di aver disinnescato dinamiche di sopraffazione, il sorriso di una persona aiutata. Tutte queste cose e altre piccolezze. Mi sembra sia meglio dedicarsi a questi obiettivi che all'allontanamento dalla società. Soprattutto perché oggi sento l'urgenza di parteciparvi per spingerla via quanto più possibile dalle logiche del Capitale, del Patriarcato ecc. che accennavo prima. La mia, insomma, è una motivazione politica. La totalità della mia azione ha un significato politico. Questo ho dimenticato di esprimerlo in maniera così netta, durante la mia conversazione con la psicologa. Qualcuno potrebbe chiedersi se non sia arrogante da parte mia credere di potermi ergere a saggio socratico: credano quel che pare loro, io credo di riconoscere in me il disinteresse minimo e la capacità intellettiva minima utile a potere aiutare gli altri in certe circostanze. Non in tutte, non per fare le cose più importanti del pianeta. Alcune cose in certi casi. Con meticolosità e senza manipolazione emotiva votata all'interesse personale. Tanto mi basta.

TODO Sapevate che sono fuoricorso?

Nel 2019 fa ero uno studente di CTF che pensava alla laurea ed andava ogni mattina in laboratorio per lavorare al proprio progetto di tesi. Tutto sembrava dovesse risolversi nel giro di qualche mese: restavano giusto tre esami, il tirocinio in farmacia ospedaliera, la presentazione della tesi. Oggi, a tre anni di distanza, sono ancora fermo a quegli stessi esami. Vi parlo dopo aver dato il primo di tre il mese scorso, quindi forse ho trovato le forze di affrontare l'argomento perché ho un'autopercezione di crescita, di miglioramento, quindi anche se ancora non è finita mi riesce un po' più semplice guardarmi alle spalle come si guarda al passato e non ad un immutabile presente.

In questi anni molti intorno a me si sono chiesti spesso come mai Giovanni, che ha spesso riconfermato la borsa di studio facendo anche studi acrobatici dell'ultimo minuto, oggi non si sia ancora divincolato da quegli ultimi piccoli sforzi. Cosa aspetta, insomma, a dare gli esami rimasti e laurearsi una volta per tutte? Queste domande corrono intorno a me mentre i miei pari vanno in vacanza, mi scrivono ogni tanto dal loro posto di lavoro, fanno progetti di vita, c'è chi sta portando a termine il dottorato. Ognuno ha preso strade diverse, io, per l'occhio esterno, sono rimasto ancorato, fermo sulla soglia del traguardo.

Recentemente ho visto sul canale di \@madonnafreeeda un post in cui parlava del suo essere fuoricorso, post sotto cui altre persone hanno raccontato di sé e del significato di questa condizione in società. Come spesso accade, rileggersi nelle parole altrui aiuta a sentirsi meglio, a sentirsi meno soli con le proprie malinconie, ma anche a costruire una coscienza collettiva che ci aiuti a liberarci di canoni opprimenti, funzionali solo a chi ha bisogno di reclutare forza lavoro a basso costo, ma assolutamente deleteri per la salute (fisica e mentale) degli studenti. Pensando all'eventualità di ridurre la percezione dell'isolamento di anche una sola persona tra chi mi legge, foss'anche quella più silenziosa di cui non immagino nemmeno l'esistenza, ho deciso di venire meno alla mia abitudine di non parlare di me stesso e fare eco alla domanda del post di \@madonnafreeeda: vi ho mai detto che sono fuoricorso?

Mentre lì fuori si scrivono titoli di giornale in cui si toglie spazio alla dimensione d'approfondimento dell'università per trasformarlo in un gioco a premi in cui vince chi si laurea per primo, qui, tra le aule universitarie e nelle brutte camere in affitto, gli studenti si uccidono.